Dal lato del sole
Mi dicono che nelle arene di Spagna, là dove si combatte la corrida, i
posti a sedere si dividano in due categorie: quelli all'ombra, più confortevoli e, quindi, più cari di prezzo, e quelli al sole, più scomodi e, quindi, più popolari.
Nella vita come nell'arte ho scelto questa seconda ipotesi e tutto sommato la trovo normale.
Il diario che segue è nato dai continui spostamenti e viaggi nella mia attività di pittore in giro per l'Europa.
Non è cronologicamente corretto, segue un tempo molto generale e, comunque, in divenire.
Accompagnato dal mio segno ho trascorso quasi trent'anni della vita in continui transazioni esistenziali e artistiche. Alle volte mi sono anche
divertito, annoiato mai.
Andare e ritornare. Ogni volta il ritorno è speranza di ritrovare una situazione certa, diversa, rassicurante. Una menzogna. Gli ulivi danno
sicurezza. La metropolitana di Parigi no. Ti puoi smarrire oppure fermarti all'improvviso. Come nel rapporto con una donna. Devi sapere che
è precario. Specialmente quando sembra sicuro.
Una tela da dipingere comporta uno sforzo esagerato.
Anche quando ti lasci andare e pensi che sia una lieta comunanza, quasi una simbiosi tra la mano e la tela.
Seppure tutto procede bene, e raramente è vero, esiste sempre l'imprevisto. Questo manufatto è di per se stesso incerto.
Allora pretendi attorno a te la certezza.
Il muro di Calasetta (la decorazione nella scuola) è uno dei rari momenti in cui mi sono trovato a procedere senza incertezze, come in un'avventura che non richiedeva un fine.
Saltando da una parte in basso e continuando poi dalla parte opposta nello stesso giorno e riprendendo ancora, dopo due o tre giorni, come se fosse normale.
Ora il muro è finito e per leggerlo, devi percorrerlo in tutti i sensi, come se fosse un vocabolario da consultare.
Credo di essere riuscito a scrivere.
Ho scritto una lunga lettera piena di "inatteso": "esercizio indiscreto" è il titolo. Ma è insito l'argomento: la precarietà che è della vita come di tutte le situazioni in divenire.
Non mi dispiace questo parametro della precarietà. Mi sono da tempo rassicurato sul precario. È divenuto la norma.
Per questo, quando desidero una pausa perchè affaticato, cerco l'ulivo.
La metropolitana di Parigi è triste. Nonostante tutti gli sforzi compiuti dal governo francese per renderla meno triste.
Andare a Parigi vuol dire sfidare gli altri uomini. È sempre una situazione di competitività. Invece, nell"'esercizio indiscreto" non c'è competitività.
Sarebbe accettato a Parigi?
O meglio, che cosa può avere a che fare con Parigi? La corsa dei colori è senza regola apparente: segue, invece, una fenomenologia, come un divenire secondo scansioni temporali.
Lo stesso dicasi per l'inverso. Anzi, sarebbe meglio l'inverso. Inaspettato, si dovrebbe dire. Sicuramente il muro è un manufatto lieto. La lettura non è difficile, almeno apparentemente.
Il fine è inesistente. Anche lo stare a Parigi è senza scopo. Non inopportuno ma senza fine. Lo stare a Spiaggiagrande no.
Il fine è fare esperienza, vivere è più difficile.
Puoi anche lasciarti andare. Coesiste la precarietà con la sicurezza. Non si sa bene che cosa devi fare.
Se dai vita a un manufatto non puoi barare: altrimenti risulta inesistente, come il vento che, a Spiaggiagrande, esiste anche quando non si sente.