Ezia Gavazza - 1986
Costringere l’operazione di Ermanno Leinardi in una definizione è impossibile. Lui stesso ne respinge i termini in nome della pittura.
E dunque pittura nel panorama complicato, ma confuso, di tutti i post che sono stati inventati dalla critica e dagli artisti, troppo spesso al seguito. Se glielo chiedi Leinardi ti risponde che la sua operazione si sviluppa lungo una linea orizzontale i cui punti sono tutti ugualmente importanti. Senza ripensamenti e tradimenti troppo frequenti nella concessione ad altre mode, le ultime soprattutto.
Ermanno Leinardi, un costruttivista “poco rigoroso”
La sua pittura ha avuto un cammino lineare con momenti di sosta per pensare e riflettere e per la sofferta impossibilità a proseguire quando il problema da affrontare non era di facile soluzione e cedere o continuare comunque, senza chiarezza significava tradire.
Di qui la coerenza che è fedeltà alla pittura e a una scelta che si regge su radici storiche che lui stesso riconosce, senza paura degli “antenati”, nella “logica costruttivista, ma non secondo le leggi del “costruttivismo rigoroso”. Sicché la sua ricerca si è svolta cercando di “allargare il più possibile l’indagine toccando parametri che normalmente non vengono riconosciuti come tema di lavori dei “costruttivisti puri”.
La fantasia, la libertà dell’immagine nel rigore assoluto di una operazione che riporta fuori da ogni casualità e da ogni concessione o cedimento alla sola emozione, al solo compiacimento per la materia e la struttura.
Da questa chiara consapevolezza il suo lavoro trova ragione nel misurarsi col bianco e il nero per scoprire le leggi del contrasto, poi col colore, olio, acquarello, acrilico, per riportarlo, superando la tentazione del pittoricismo, alla dimensione di spazio, di struttura, di impianto architettonico.
Leinardi e la produzione pittorica negli anni ‘80
Al di là di un indubbio riconoscimento di fedeltà alla pittura, la sua operazione può apparire oggi negata, troppo distante dalle disparate tendenze della produzione contemporanea.
La sua risposta è immediata e, quasi a rimbalzo, polemica:
“Trattandosi di un prolungamento di fatti avvenuti al principio del secolo e ormai talmente acquisiti da essere la base di tutta l’arte contemporanea, sia il rapporto con il mio tempo a rendere più o meno interessante questa operazione. La funzione consiste nel proporre al fruitore un tipo di geometria ricca di implicazioni, più libera e problematica anche a livello umano. E in questo senso il colore è entrato nel campo e lo ha reso vivo e pulsante. Negli anni sessanta sarebbe stato non ortodosso per esempio usare la tecnica ad olio. Tutto doveva essere asettico, piatto, senza emozioni. L’aver recuperato certe tecniche ha notevolmente mutato il messaggio. Tuttavia credo che alle nuove generazioni questo lavoro appaia difficile, quasi illeggibile. Questo soprattutto perché non è stato assimilato il lavoro precedente. Altro che voltar pagina. Si tratta di rileggersi tutto il lavoro degli anni sessanta”.
Una tale sicurezza conoscitiva e di impegno non può che portare a una certezza di lavoro, valido certamente sul piano personale come risposta ad una coerenza e ad una linearità che non ammette deviazioni, ma che vive in costante riprova, discussione, verifica.
L’arte, oltre l’intrattenimento
Ma quale validità presenta nella incidenza con valori asseverati e nella urgenza di nuove proposte?
Anche in questo caso la risposta di Leinardi non lascia spazio a incertezze:
“Questo è un tempo di veloce fruizione, consumismo, si dice. Tutto ciò che procede contrariamente a questa legge trova difficoltà e ha vita breve. Questo non vuol dire che sia sbagliato. Compito dell’artista è denunciare questo stato di cose. Avvertire che sta succedendo qualcosa di anomalo. Alla stessa domanda che mi poneva una giornalista svizzera, alcuni anni fa, risposi che desideravo mettere un po’ di fuoco nel cervello del fruitore per fargli acuire la sua percezione visiva, attraverso il mio lavoro volevo obbligarlo ad impegnarsi a vedere in maniera più consapevole. Dunque non un’arte di intrattenimento, ma un rettangolo operativo a tutti i livelli”.
Questo implica il problema della fruizione, intesa non solo come momento di acquisizione conoscitiva, ma anche come implicazione del mercato che Leinardi risolve a favore di un collezionismo attento e non sprovveduto, non coinvolto solo nelle leggi della speculazione.
Un discorso col pittore, direttamente sulle opere, ma anche a distanza, porta a considerazioni che stimolano gli interrogativi, dissensi e anche, naturalmente, i consensi.
Leinardi, lo spazio, le O
Tra gli interrogativi non ultimo quello non facile, ma pur sempre pertinente, di essere dentro, non fuori e controcorrente. Ci si aspetta di solito un atteggiamento di sfida e di sufficienza nei confronti di chi si permette di inquisire.
E invece:
“Non mi sono mai accorto di essere dentro la corrente oppure fuori, non ritengo neppure di essere dalla parte valida. Questo è il lavoro della critica. La cosa che mi sorprende è che improvvisamente si voglia cancellare la ragione stessa dell’avanguardia storica su cui poggia tutta l’arte contemporanea. Per il resto sono felice di vivere questa meravigliosa avventura nello spazio unitamente alla mie “O” in letizia e fantasia”.
Ezia Gavazza, biografia tratta da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Ezia Gavazza (Pozzolo Formigaro, 1928) è una storica dell'arte italiana . Già titolare della cattedra in Storia dell'Arte Moderna all'università di Genova, è stata recentemente nominata Professore Emerito dal Ministro Mussi e collabora da sempre alla vita culturale del capoluogo ligure (di cui è stata anche consigliere comunale nelle fila del PCI) curando l'allestimento di mostre, la pubblicazione di testi e l'organizzazione di convegni specialistici. continua