Corrado Maltese 1968
Tonino Casula, Ermanno Leinardi e Ugo Ugo lavorano assieme non da oggi. Alcuni anni fa a Cagliari con Italo Utzeri, Primo Pantoli, Gaetano Brundu e altri, ancora più giovani ma già promettenti (come ad esempio Cipriano Mele), rappresentavano la voce “impegnata” della seconda generazione artistica di questo lunghissimo dopoguerra. Intendo dire impegnata moralmente a difesa della autenticità contro le frasi fatte di accademici vecchi e nuovi; impegnata politicamente non tanto nel senso della appartenenza a un partito, quanto nel senso del prendere in parola gli anziani (e gli “altri”) per la riscossione di almeno le più importanti delle troppe cambiali firmate a cuor leggero; impegnata artisticamente nel senso di ritenere senza profitto o addirittura insensata la pretesa di conservare i fatti artistici nel superattico dei sentimenti o della famiglia pura e senza rese di conti con il pensiero sotto qualsiasi forma, storico-filosofica, e magari logico-matematica.
La "rimessa in discussione" di Leinardi, Casula, Ugo
Negli ultimi anni questa piccola schiera si è differenziata e pur senza minimamente venir meno al precedente impegno ciascuno ha svolto per proprio conto (ma in ogni caso senza esclusivismi) le premesse di cui quello si sostanziava: Pantoli (e così Mele e altri) in direzione, tanto per intenderci, iconica; Brundu (ormai più parigino che cagliaritano) in una direzione intermedia e ambivalente; Casula, Leinardi e Ugo (e in un primo momento anche Utzeri) in direzione aniconica. A un certo punto questi ultimi si resero conto che occorreva rimettere in discussione le basi stesse della pittura in quanto operazione capace di produrre forme visivamente percepibili e che questo non si poteva fare senza rimettere rigorosamente in discussione il processo stesso della percezione, a livello elementare.
Qualcuno può dolersi di questo “rimetter tutto in discussione”; può anche eccepire la non necessità o la non legittimità, ma tant’è: se vogliamo rimanere interi ogni nuovo giorno non può che gettar luce (o ombra) sui giorni che sono passati e ad ogni passo che facciamo il quadro prospettico che abbiamo davanti muta tutto insieme anche se sembra a prima vista persistere identico.
Infine: non è la prassi scientifica ad ammonire sulla necessità (e sulla proficuità) del “dubbio metodico”?
Leinardi, Casula e Ugo verso il costruttivismo e astrattismo geometrico
La tradizione artistica moderna suggeriva a Casula, Leinardi e Ugo due (all’ingrosso) possibili soluzioni del problema della produzione (e della percezione) delle forme visibili: quella implicita nella corrente surrealista e astratto-lirica (per cui percezione e produzione delle forme visibili sono in definitiva una proiezione dell’inconscio) e quella implicita nel costruttivismo e astrattismo geometrico e nel “ghestaltismo” (per cui la percezione e la produzione si modellano entrambe su strutture permanenti e congenite della nostra mente).
Ritengo di non allontanarmi dal vero avvertendo che Casula, Leinardi e Ugo si trovarono subito più vicini al ghestaltismo (o psicologia della forma che dir si voglia) che non alla psicologia dell’inconscio.
La poetica surrealista
La poetica surrealista (ma anche quella astratto-lirica, ivi compresa l’astratto espressionista) si fonda sul principio che la produzione delle forme provenga esclusivamente o prevalentemente dal soggetto quale fonte creatrice singolare e autonoma, si tratti degli impulsi oscuri dell’Es, che salgono alla luce attraverso la trascrizione automatica degli stati onirici, o si tratti degli altrettanto oscuri impulsi vitalistici dell’action painting, che si esprimono per via diretta nel magma più o meno indistinto dei mezzi plastici e cromatici in cui il soggetto si imbatte.
Nell’un caso e nell’altro si intende al limite la produzione di forme non tanto come una operazione, una “tèchne” (in cui si realizzi un reale equilibrio o interazione tra progetto sia pure solo mentale ed esecuzione), quanto come una “rivelazione”, che è interna prima e diventa esterna dopo. Infatti anche la percezione di forme prodotte in modo così univoco ed esclusivo non può essere intesa come un processo e tanto meno come una operazione, ma richiede di essere concepita come obbligata a una configurazione predeterminata, perfetta sin dall’inizio, dunque come un contatto magico o una rivelazione (si spiega così, con la necessità malcelata di fare appello alla immediatezza percettiva dello spettatore, il frequente ricorso in molte opere surrealiste o astratto-liriche alla estrema banalizzazione dei mezzi di espressione).
Costruttivismo, astrattismo geometrico e ghestaltismo
Costruttivismo, astrattismo geometrico e ghestaltismo (mi si perdonino l’eccessiva approssimazione e schematizzazione di queste classificazioni) contenevano invece per Casula, Leinardi e Ugo condizioni di principio più accettabili, ma non ancora soddisfacenti.
Se la percezione delle forme visibili è condizionata da poche leggi interne al lavorio mentale (della vicinanza, della uguaglianza, della forma chiusa, della curva buona, del movimento comune, della pregnanza) non è detto che sia ancora intesa come operazione.
Se poi quelle leggi sono proprio congenite e permanenti il rischio è di fare ancora una volta della percezione un contatto magico o una “rivelazione”.
E se davvero quelle leggi così sono, che valore può avere averle individuate?
Può l’operazione del produrre forme visibili venire a trovarsi in contrasto con l’atto del percepirle?
In caso positivo avremo ancora una volta una dicotomia incolmabile tra l’artista creatore che offre le forme e il “volgo” che deve percepirle. In caso negativo qualsiasi produzione di forme dovrà seguire quelle leggi automaticamente, per fatale predestinazione, e la loro “verifica” non potrà che equivalere a una ripetizione rituale o a una divulgazione “pour les dames”.
Tanto varrebbe – alla fine – attenersi ai vecchi canoni del mestiere o aggrapparsi alla decorazione più o meno commerciale con soluzioni intercambiabili, a seconda della moda, tra lo “stile svedese” o quello “Tudor”, o quello “Napoleone III”.
Casula, Leinardi , Ugo e “l’impostazione transazionale”
Casula, Leinardi e Ugo naturalmente non erano e non sono degli psicologi, né ad essi vogliono sostituirsi, ma hanno compreso perfettamente che il problema artistico faceva tutt’uno con il problema scientifico e quest’ultimo con quello filosofico e infine etico.
Per uscire dall’impasse hanno trovato un filo conduttore nella scuola psicologica transattiva o transazionale che risale al Dewey (ma in italiano si potrebbe forse anche tradurre il termine transaction con il termine operazione) e naturalmente nelle famose “Ames’ demonstrations”.
Tra l’altro l’impostazione “transazionale” aveva il vantaggio di non gettare a mare né l’esperienza surrealista e astratto-lirica, né l’esperienza ghestaltica, ma di stimolarne invece l’approfondimento. Per la psicologia transattiva ogni percezione è il frutto di un compromesso spinto ogni volta al limite tra i nuovi dati fenomenici e il patrimonio di esperienza (e quindi anche di interessi) accumulato dal soggetto.
Ma se così è, essa è ogni volta un processo, anzi una operazione nuova, mai codificabile una volta per tutte ma giudicabile solo storicamente. Essa, cioè, anche al livello elementare, è una verifica reale e sperimentale della assorbibilità dei dati nuovi nel vecchio sistema di dati.
E se tale è la percezione, la produzione di forme visibili non può che essere ad essa commisurata: non tanto più una singola e definitiva forma perfetta ab inizio, ma una catena di forme in cui ogni anello è diverso e pur uguale agli altri e trae significato proprio dal suo rapporto dinamico (e operativo) con gli altri. E se la raggiunta consapevolezza del meccanismo della percezione non è in nessun modo la rivelazione di una legge strutturale, ma è una conquista dell’esperienza, essa deve potersi tradurre in “tèchne”, deve poter aiutare a produrre forme che giochino sui “pregiudizi” della percezione, che li rivelino, che li mettano in crisi, che abbiano quindi un ulteriore contenuto operativo reale.
Questi devono essere stati all’incirca i ragionamenti di Casula, Leinardi e Ugo, questa la strada battuta. I lavori presentati (briosi e conturbanti quelli di Casula, lirici quelli di Leinardi, arguti quelli di Ugo) ne documentano – credo, nel complesso, in modo sufficientemente felice – la coerenza: escludono la passività e insieme l’apriorismo, vogliono essere operazione e non rito o frutto di un rito, fanno appello alle ragioni più che alla Ragione, alla riflessione più che al “furor”, e – perché no – anche alla serenità e alla letizia o magari al gioco e all’ironia piuttosto che alla disperazione.
Insomma hanno tutti dentro una grande e libera cordialità.
Corrado Maltese, da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Corrado Maltese (Genova, 7 ottobre 1921 – Roma, 24 marzo 2001) è stato uno storico dell'arte e docente italiano.
Ordinario di Storia dell'arte medievale e moderna all’Università di Genova, docente di Storia dell’arte moderna alla Sapienza. Ha computo studi sull’arte del Rinascimento e sull’arte dell’Ottocento e moderna. Nel 1956 fuoriesce dal PCI e firma il Manifesto dei Centouno contro la repressione sovietica in Ungheria, manifesto firmato anche da Argan e Vespignani, suoi amici. È autore della Storia dell’arte in Italia 1785-1943, pubblicata dalla Casa Editrice Einaudi. continua